Sentenza n. 220 del 1991

 

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SENTENZA N. 220

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 68, comma secondo, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 ("Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni"), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 1990 dal Pretore di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme nel procedimento civile vertente tra Santiloni Luca ed altro e Lupicchi Calistri Riccardo ed altri iscritta al n. 65 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 4 dicembre 1990 il Pretore di Pistoia ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 68, secondo comma, d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, perché - nel dettare una disciplina speciale della pignorabilità degli stipendi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni - riserva ad essi un trattamento ingiustificatamente più vantaggioso di quello previsto per i dipendenti privati con conseguente pregiudizio per i creditori che agiscano in via esecutiva. La questione è insorta in un procedimento esecutivo promosso da Santoloni e Breschi nei confronti di Lupicchi Calistri, dipendente del Comune di Montecatini Terme. I creditori procedenti - intendendo sottoporre a pignoramento, nella misura di un quinto, tutti i crediti vantati da quest'ultimo, quale dipendente del Comune, sia a titolo di retribuzione mensile che di qualunque altra indennità compresa quella per fine lavoro fino alla concorrenza di L. 23.618.860 - avevano citato innanzi al Pretore di Pistoia il Comune suddetto, che, a mezzo del delegato del Sindaco, rendeva la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c. indicando la retribuzione mensile percepita dal Lupicchi Calistri, quale dipendente di ruolo, e precisando ulteriormente che il quinto dello stipendio erogato al Lupicchi Calistri era stato oggetto di cessione in favore della FINCRAL fino al mese di maggio del 1991. I creditori procedenti formulavano quindi istanza di assegnazione del credito pignorato, chiedendo che la misura del quinto fosse calcolata sull'importo lordo della retribuzione, senza tener conto della cessione di credito fatta in favore della FINCRAL.

2. - In tale situazione ritiene il giudice rimettente che l'art. 68 cit. (norma che prevede che, qualora i sequestri ed i pignoramenti dei crediti di un dipendente pubblico nei confronti dell'Amministrazione abbiano luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata, non sia possibile sequestrare o pignorare se non la differenza tra la metà dello stipendio o del salario valutati al netto delle ritenute e la quota ceduta) comporterebbe che debba essere conteggiata la cessione fatta dal Lupicchi alla FINCRAL in termini tali da determinare un'ingiustificata disparità di trattamento in ordine alla pignorabilità dei crediti di lavoro tra pubblici dipendenti e lavoratori subordinati privati. Infatti - ad avviso del giudice a quo - mentre per il dipendente privato, allorquando in sede di dichiarazione ex art. 547 c.p.c. si specifichi l'esistenza di una cessione di parte dello stipendio, il quinto della retribuzione assegnabile deve essere calcolato sulla differenza tra la retribuzione globale (al netto delle ritenute) e la parte della stessa in precedenza ceduta; invece per il dipendente pubblico il meccanismo dell'art. 68 cit. comporta che il pignoramento sia eseguibile e le relative somme assegnabili se non per la differenza tra la metà dello stipendio valutato al netto delle ritenute e la quota ceduta, fermi i limiti dell'art. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 cit. Di qui la censura di illegittimità costituzionale dell'art. 68 cit. per violazione dell'art. 3 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento.

3. - Il medesimo Pretore rimettente ritiene altresì che sussistano dubbi di legittimità costituzionale anche dell'art. 2 del d.P.R. n. 180 cit. nella parte in cui non consente la pignorabilità (nel limite del quinto) dell'indennità di fine rapporto del dipendente comunale se non per i crediti espressamente indicati ai nn. 1, 2 e 3 della norma medesima, che pertanto è censurabile sotto il medesimo profilo della disparità di trattamento rispetto al regime della pignorabilità dei crediti retributivi del lavoratore subordinato privato. Infatti il terzo comma dell'art. 545 c.p.c. consente invece il pignoramento dell'indennità di fine rapporto corrisposta al lavoratore subordinato per qualunque credito nei suoi confronti.

4. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite l'Avvocatura generale di Stato, sostenendo l'infondatezza di entrambe le questioni sollevate. In particolare osserva che la disparità di trattamento in ordine alla pignorabilità degli stipendi in ipotesi di precedente cessione del quinto dello stesso è solo eventuale e che rientra nella discrezionalità del legislatore il diverso regime di pignorabilità del trattamento di fine rapporto del dipendente comunale, assimilabile alla buonuscita ENPAS degli statali (anch'essa non pignorabile per qualsiasi credito).

 

Considerato in diritto

 

1. - Nell'ordinanza di rimessione del giudice a quo sono state sollevate due distinte questioni di costituzionalità. La prima ha ad oggetto l'art. 68, secondo comma, d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 ("Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni"), norma questa che è sospettata di essere in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, a differenza di quanto previsto dall'art. 545 cod. proc. civ. per il pignoramento dei crediti retributivi del lavoratore subordinato privato, stabilisce che, qualora il pignoramento abbia luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata dello stipendio di un dipendente comunale, si possa pignorare solo la differenza tra la metà dello stipendio (al netto delle ritenute) e la quota ceduta.

2. - Va premesso che l'art. 68, secondo comma, citato dispone che quando il pignoramento (od il sequestro) dello stipendio del pubblico dipendente ha luogo dopo una cessione dello stesso perfezionata e debitamente notificata non si possa pignorare (o sequestrare) se non la differenza tra la metà dello stipendio o salario, valutati al netto di ritenute e la quota ceduta, "fermi restando i limiti di cui all'art. 2". Quest'ultima norma richiamata - quale risultante dopo le dichiarazioni di illegittimità costituzionale pronunciate con le sentenze n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988 nella parte in cui non prevede la pignorabilità, limitatamente ad un quinto, degli stipendi dei pubblici dipendenti anche per crediti non qualificati - individua distintamente i limiti alla pignorabilità secondo il tipo di credito azionato; il limite è di un quinto dello stipendio (al netto delle ritenute) in caso di credito non qualificato; di un terzo in caso di crediti alimentari; di metà dello stipendio nel caso di concorso di entrambe tali categorie di crediti. Parimenti l'art. 5, primo comma, dello stesso d.P.R. n.180 del 1950 prevede un limite alla facoltà di cessione di quote dello stipendio per l'estinzione di mutui contratti, limite fissato in un quinto dello stipendio.

La possibilità che in concreto concorrano, sovrapponendosi nel tempo, le due fattispecie (del pignoramento, o sequestro, e della cessione di quote dello stipendio) ha richiesto un inevitabile raccordo normativo che è posto dall'art. 68 cit. Tale norma - la quale persegue la finalità di evitare che per il concorso di pignoramenti (nonché sequestri) e cessioni il pubblico dipendente risulti privo di un minimo di mezzi di sussistenza - regola al primo comma l'ipotesi in cui la cessione segua al pignoramento (o sequestro) e al secondo comma l'ipotesi inversa in cui il pignoramento (o sequestro) segua alla cessione. In entrambi i casi la preesistenza del vincolo del pignoramento o della cessione può incidere rispettivamente sulla cedibilità o pignorabilità della residua quota dello stipendio.

3. - Nella prima ipotesi (art. 68, primo comma) la cessione è possibile - "fermo restando il limite di cui al primo comma dell'art. 5" - solo "limitatamente" alla differenza tra i due quinti dello stipendio (sempre al netto delle ritenute) e la quota pignorata (o sequestrata). Quindi - come emerge dalla lettera della norma nella parte in cui testualmente conferma il limite di cui all'art. 5, primo comma - questo secondo parametro quantitativo (differenza tra due quinti dello stipendio e quota pignorata) si aggiunge al primo (un quinto dello stipendio) senza sostituirlo od alterarlo; si tratta di un limite ulteriore talché il dipendente, che intenda cedere quote di stipendio, per farlo utilmente deve rispettare non soltanto il limite generale del quinto dello stipendio ma - se c'è stato già un pignoramento - anche il limite particolare della differenza tra i due quinti dello stipendio e la quota pignorata (in concreto poi questo secondo limite potrebbe non operare ove l'ammontare della somma pignorata lasci piena capienza alla cessione dell'intero quinto dello stipendio).

Nella seconda ipotesi (art. 68, secondo comma) il legislatore ha operato analogamente prevedendo un limite ulteriore a quello già contemplato dall'art. 2. Il pignoramento dello stipendio - se segue alla cessione di quota dello stesso - è possibile limitatamente alla differenza tra metà dello stipendio (sempre al netto delle ritenute) e la quota ceduta. Questo limite (particolare) si aggiunge a quello (generale) previsto dall'art. 2, come è reso evidente dalla lettera della norma nell'inciso "fermi restando i limiti di cui all'art. 2" (che è perfettamente parallelo all'analogo inciso del primo comma in cui si fa salvo il limite di cui all'art. 5, primo comma). Questo riferimento testuale, e, insieme, il parallelismo con il primo comma della medesima norma fanno escludere che il secondo comma dell'art. 68 modifichi (e non già integri) i limiti dell'art. 2 alterando la base di computo della quota pignorabile (così come sembra ritenere il giudice rimettente). Quindi il creditore che procede al pignoramento presso l'ente datore di lavoro deve innanzi tutto rispettare il limite dell'art. 2 (può pignorare solo un quinto, oppure un terzo, oppure la metà dello stipendio secondo le diverse categorie di crediti quali previste dalla norma stessa); inoltre - ove ci sia stata una precedente cessione debitamente notificata - deve anche rispettare l'ulteriore limite del secondo comma dell'art. 68: non potrà mai pignorare più della differenza tra metà dello stipendio e la quota ceduta. Al pari della prima ipotesi (della cessione che segue il pignoramento), questo secondo limite può in concreto non operare ove ci sia capienza per la quota che il creditore possa pignorare in ragione del tipo di credito azionato.

Pertanto, il secondo comma dell'art. 68 cit., così interpretato, si pone come norma differenziata per il pubblico dipendente rispetto al dipendente privato soltanto in quanto appresta al primo la garanzia dello sbarramento della somma massima pignorabile (fissata - come detto - nella differenza tra metà dello stipendio e la quota ceduta), ma nel rispetto di tale limite la disciplina è analoga, trovando applicazione sia il disposto (processuale) dell'art. 547, secondo comma, cod. proc. civ. (secondo cui il terzo che rende la dichiarazione deve specificare le cessioni che gli siano state notificate o che abbia accettato) sia quello (sostanziale) dell'art. 2914, n. 2, cod. civ. (che prevede l'incidenza della cessione del credito sulla sua pignorabilità stabilendo che non abbiano effetto in pregiudizio del creditore pignorante le cessioni di crediti notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento).

4. - Nel caso di specie - come risulta dalla parte narrativa dell'ordinanza del giudice a quo - i creditori pignoranti vantano un credito ordinario per il quale il limite di pignorabilità ex art. 2 cit. è di un quinto dello stipendio (al netto delle ritenute); conseguentemente, non risultando altri precedenti pignoramenti ma solo la cessione di un quinto dello stipendio, in ogni caso vi sarà capienza perché la quota pignorabile non può mai essere superiore alla soglia massima dell'art. 68, secondo comma, (essendo la differenza tra la metà dello stipendio ed il quinto ceduto sempre superiore ad un quinto dello stesso). Tale capienza invece non vi sarebbe se in ipotesi i creditori procedessero in via esecutiva anche per un credito alimentare perché la loro pretesa di pignorare fino a metà dello stipendio ( ex art. 2 cit.) incontrerebbe l'ulteriore limite del secondo comma dell'art. 68.

Può quindi conclusivamente affermarsi che nella procedura esecutiva di specie, pendente innanzi al giudice rimettente, la norma censurata non viene in rilievo e la determinazione della quota in concreto pignorabile è assoggettata solo al limite della disciplina (speciale) dettata dall'art. 2 nel concorso con quella (ordinaria) codicistica degli effetti della cessione del credito sul pignoramento quale applicabile anche in caso di retribuzioni del dipendente privato assoggettate a pignoramento.

Consegue che la questione di costituzionalità è inammissibile non dovendo il giudice a quo fare applicazione della norma censurata, così come sopra interpretata.

5. - La seconda questione di costituzionalità riguarda l'art. 2 d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 cit. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui, a differenza di quanto previsto per il pignoramento dei crediti retributivi del lavoratore subordinato privato, non consente la pignorabilità (nel limite del quinto) dell'indennità di fine rapporto corrisposta ai propri dipendenti dalle amministrazioni comunali per ogni credito vantato nei confronti del personale stesso anche se non rientrante tra quelli espressamente indicati ai nn. 1, 2 e 3 della norma censurata.

Anche tale questione è inammissibile per difetto di rilevanza.

Risulta infatti dalla stessa narrativa dell'ordinanza di rimessione che, quale terzo invitato a rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 cod. proc. civ. , è stato citato solo il Comune, datore di lavoro del debitore esecutato, e che conseguentemente la dichiarazione ha avuto ad oggetto unicamente lo stipendio mensile del dipendente; non è stato invece evocato in giudizio l'I.N.A.D.E.L., tenuto al pagamento dell'indennità premio di fine servizio ai dipendenti degli enti locali. Pertanto nel giudizio a quo non si pone in concreto il problema dei limiti della pignorabilità di tale indennità, ma solo quello dei limiti della pignorabilità dello stipendio. La questione di legittimità costituzionale della norma censurata si appalesa quindi meramente astratta ed ipotetica e conseguentemente difetta di rilevanza nella procedura esecutiva pendente innanzi al giudice a quo.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 68, secondo comma, d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, ("Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni"), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevate dal Pretore di Pistoia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1991.